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Sulla Notte

by Parsec

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1.
Audrey 03:59
18 febbraio. Detesto aspettare il mio turno. Detesto la gente che mi spinge verso il bancone, impaziente di sentirsi felice. Un uomo sulla cinquantina consuma vodka russa. Ha la giacca aperta, un ammasso di peli sovrapposti a una collana d’oro. Parla con una ragazza. È molto bella. Mi chiedo come possa divertirsi con un tipo del genere. Sembra la ragazza di Twin Peaks, con la passione per la danza. Mi colpiscono i suoi movimenti ipnotici. Rimango quasi senza fiato. Deve aver pianto da poco. Il trucco è ormai sbiadito. Fatico a riconoscere il colore dei suoi occhi. Non riesco a smettere di fissarla. Mi chiedo come possa divertirsi con un tipo del genere. All’improvviso l’uomo smette di parlarle. Contrariato si allontana, lasciandola sola al centro della pista. Resto fermo a guardarla ballare. Il suo sorriso è come un fiore che deve ancora sbocciare. Ai lati della sala i corpi degli invitati si allontanano continuamente, solo per desiderarsi di nuovo. I volti sono consumati dal tempo, privi di espressione. Nessuno sa cosa lo aspetta. Quando tutto finirà.
2.
Luci Al Neon 03:00
Qualcosa non stava andando per il verso giusto, in quel pub con le luci al neon, all’estrema periferia della città. Seduto al bancone bevevo per dimenticare. Per far succedere qualcosa. La notte dona un aspetto rassicurante ai giorni che ho smesso di contare. Mi fa sentire importante. Le vetrate all’ingresso furono le prime a cedere. L’aria divenne presto irrespirabile. La gente urlava in preda al panico. Non ci fu il tempo per chiamare la polizia. La notte dona un aspetto rassicurante ai giorni che ho smesso di contare. Mi fa sentire importante. Odiavo quel posto, sarebbe fallito. Fu molto difficile ricostruire i fatti e quantificare i danni. Una cosa era sicura, avevano tutte le ragioni per fargliela pagare. Costretto a fare i conti con me stesso, gli eventi portarono un’amara scoperta. La sera non sapevo più dove andare. Solo quel posto annebbiava i miei pensieri. Una resa dei conti.
3.
Quella notte presi un taxi abusivo, davanti alla stazione. Per andare non so bene dove. Forse mi avrebbe portato dove desideravo. Dove speravo di portarti a vivere. Per una volta il traffico sarebbe stato irrilevante. Come il fastidio dei ritardi. Le facili distrazioni di tutta una vita, passata ad aspettare. Il conducente viveva in quella macchina da cinque anni. Doveva essergli successo qualcosa di grave. Gli parlai di me, di come pensavo di mantenermi. Intorno a noi semafori intermittenti e grattacieli. Grattacieli come macerie.Per una volta mi sentivo a mio agio. Non dovevo fingermi diverso. Riuscivo ad esprimermi senza esitazioni, senza tradire i miei pensieri. Dopo l’ultima retata non lo vidi più da quelle parti. Mi dissero che era stato beccato a trafficare droga. Non ci ho mai creduto. Mi piaceva pensare avesse trovato un lavoro onesto, amici che non fanno domande. Da qualche parte, dove si può ricominciare.
4.
Non ho ancora voglia di spiegarmi. Non è possibile essere poeti. Dire la verità, liberandosi dal peso della storia. Come se fosse semplice descriversi, come se fosse saggio narrarsi. Ecco perché ho smesso di salutare il mio vicino. Sospeso, incapace di adattarmi, stringo le spalle e penso a te. È in quel momento che decido di partire.In quel momento. Salgo le scale del mio appartamento. Penso solo a lasciarmi andare, sul divano di casa. Non chiudo occhio da giorni, le braccia abbandonate lungo il corpo. Sul tavolo è rimasto un libro. Si intitola «Non siamo mai stati moderni». È in quel momento che decido di partire. Quella era la mia ultima sera a Bologna. In quel momento.
5.
6.
Sadir mi convinse ad entrare nel suo giro d’affari. Sapeva benissimo che non avrei saldato il mio debito. Abitava in un appartamento in pieno centro storico. Durante le ore del giorno sembrava completamente disabitato. Sono cresciuto troppo presto per poter tornare indietro. Organizzavamo incontri clandestini. Gli uomini erano ammessi a tarda notte, solo se accompagnati da una donna. Strinsi un patto. Non potevo entrare in alcune stanze. Non mi era permesso fare domande. Non dovevo più farmi vedere in giro. Almeno gli amici avrebbero smesso di cercarmi, risparmiandomi formalità inopportune. Sono cresciuto troppo presto per poter tornare indietro. Di tanto in tanto traccio un bilancio della mia vita. Penso a come tutto quello che ci circonda finisca per diventare parte di noi stessi. Penso al mio futuro sempre più incerto, a come le cose sarebbero potute andare diversamente. Sono l’unico responsabile dei miei fallimenti. Con il passare del tempo ho imparato ad accettarli. Eppure non potrò mai perdonarmi per averti lasciata partire. «Sono la periferia di una città inesistente».
7.
Siamo nati per gridare la nostra solitudine, fuggendo da oggetti che finiscono per possederci. Dimentichiamo le città in cui siamo cresciuti, ormai cupe e desolate. Siamo stanchi di sterili relazioni che ci illudono di essere indispensabili. I nostri corpi, così fragili e indifesi, sembrano non volerci lasciare speranze. Aspetto ancora il tuo sorriso, il suono della tua voce quando mi dicevi «la vera disgrazia è non saper aspettare la primavera». Non so come si sono conosciuti i miei genitori. Non ci sono fotografie. Non so se si sono mai amati davvero. Se io sono stato solo un modo per ingannare il tempo. Cosa rimarrà di queste mani, di questi colori, di queste strade, di una tazza di caffè nero fumante che tormenta giorni insonni, in questa esistenza che ci trattiene senza pietà. Cosa ne sarà delle poche buone persone che piangono sole nella notte. E di tutte le nostre parole, spese inutilmente per cercare di capirci. Aspetto ancora il tuo sorriso, il suono della tua voce quando mi dicevi «la vera disgrazia è non saper aspettare la primavera».
8.
Emile 03:41
9.
Lo Straniero 03:28
In quel periodo lavoravo in biblioteca. Dovevo svegliarmi molto presto. Ero veramente sfinito. La sera provavamo fino a tardi. Partivo di corsa, senza cambiarmi. Riuscivo a malapena a respirare. Avevo voglia di rivederti. In piazza proiettavano un film di Orson Welles. I posti erano già stati occupati. Stavi parlando con un ragazzo mai visto prima. Conoscevo a memoria quelle immagini. Poi ti sei alzata. Ti allontanavi con degli sconosciuti, incontrati per caso. Sono rimasto immobile a guardarti, mentre svoltavi l’angolo della strada. Speravo fosse uno scherzo di cattivo gusto. Solo, nel silenzio della notte, mi incamminavo a piedi verso casa. Incrociandomi una coppia affrettava il passo. «Dovevo fare veramente paura». Il risultato della mia ricerca attuale è che non trovo alcuna traccia di inizio, nessuna sicura prospettiva di fine.
10.
Stoccolma 06:46
Le pareti di casa tua erano più viola del solito. Ti dicevo «non voglio finire come nell’Amore a vent’anni». Mi fissavi, seduta su quel divano così scomodo. Aspettavi una mia risposta. Mi hai chiesto di girare il mappamondo per scegliere destinazioni casuali. Fantasticammo di futuri abitudinari, di amanti dissoluti e immaginari. «A che ti serve avere paura?» sentenziava la televisione. A tarda sera ci siamo salutati controvoglia, quasi sovrappensiero. Se mi fermo per pensare non vedo che un’immagine sfocata, il tuo viso in bianco e nero, su un’oscura istantanea di qualche anno fa.

about

Registrato e mixato da Michele Postpischl a Bologna.
Prodotto da Luigi Tizzano.
Masterizzato da Francesco Donadello al Calyx Studio di Berlino.
Le musiche sono di Parsec, eccetto Lo Straniero e Stoccolma, di Luigi Tizzano.
I testi sono di Samuele Venturi, eccetto Stoccolma, di Luigi Tizzano.
Grafica di Legno. La foto in copertina è "Building on Franklin Street, 1981" di Greg Girard.

I Parsec sono Federico Cavicchi (voce e chitarra), Samuele Venturi (chitarra e sintetizzatore), Gabriele Tassi (basso) e Leopoldo Fantechi (batteria).

Waves for the Masses www.wavesforthemasses.com
Booking - parsec1@live.it - 3475061597
Ufficio stampa - Pitbellula mattia@pitbellula.com

Grazie a Laura Agnusdei, Mattia Boscolo, Paolo D'Alonzo, Giacomo di Paolo, Jacopo Lietti, Vincenzo Lombino, Ugo Mazzia, Michele Postpischl, Luigi Tizzano.

credits

released November 13, 2015

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